ANTOLOGIA CRITICA COMPLETA
"… La ricerca di Frascaroli nasce dall'esigenza di rappresentare la realtà con un proprio metro visivo, badando a far emergere la forza interiore che lo spinge ad amare le "Nature Morte" (“I soggetti di ferma", com'erano definite nel Seicento), ed i "Paesaggi" risaltanti dell'Oltrepò.
Egli ha l'accortezza di rendere le sue immagini, dipinte ad olio, piacevoli, elaborate con un felice contrasto chiaroscurale, come avviene nel ritrarre la testa del "David" di Michelangelo, in cui la scultura pare accendersi di bagliori tra lo spazio ardente e faustiano e la bianca effigie del giovane. Evidente l'accortezza di giostrare sui piani di luce per rendere la sintesi dell'opera con una lirica accentuazione dei volumi.
In alcune "Nature morte", come nel "Vaso di garofani bianchi accanto al vasetto di mughetti", olio su tela, cm 70X50, si affida ad uno sfondo scuro, risuscitando l'accorgimento fiammingo per dare risalto ad una calda e pacata luminosità che si apre ad un incanto romantico. Altre "Nature Morte" sono rese in un concerto di presenze tattili, dalle forme severe, per sfociare in una opulenza plastica dell'assunto: zucca con melograno, pignatta di rame con melagrana e peperoncino, grappolo d'uva con pere, caco, mele, fichi e pesca, ecc.
Nel "Paesaggio" l'artista si ricollega ai ricordi d'infanzia, alle mille emozioni dell'Oltrepò, nutrite di valori compositivi dai toni sottili, che costituiscono la preziosità dei boschi, dei campi, dei colli, delle casette rustiche, in cui la calda giostra della primavera fa scaturire luci sornione che svettano tra le fronde degli alberi, tra le quinte dei borghi, tra le siepi dei canali.
Giuseppe Frascaroli si abbandona ad una ricerca tra Impressionismo e Naturalismo per affrontare - con accento personale - l'esigenza di tradurre la rappresentazione esteriore della Natura, non come apparenza, come sostenevano i pitagorici, bensì per captare il mondo nei limiti del verosimile, secondo l'accezione di Filodemo di Gadara (seguace delle dottrine di Epicuro). Mentre è noto che Platone affermava che colui che imita la Natura, transuente ed imperfetta, fa la copia della copia, perché la Natura è imitazione del mondo delle idee. Pertanto Frascaroli, ch'è uno studioso ed umanista, affronta il tema di armonia e bellezza, secondo lo schema di Policleto ".
ANTONINO DE BONO, Critico d’Arte, Giornalista, Pubblicista, Perito e Consulente Artistico del Tribunale di Milano, Direttore responsabile della rivista “Arte più Arte”, in: “Arte più Arte”, gennaio-marzo 2003, pag. 5
“Encomiabile la ricca tavolozza di colori di Frascaroli e la simpatia cromatica delle sue tele, che denotano l’alta sensibilità dell’artista: la pastosità, la brillantezza, l'equilibrio nel passaggio da valori tonali diffusi sino a una cromia netta e squillante, che scolpisce i contorni conferendo spiccato rilievo plastico agli oggetti raffigurati”.
BRUNO TRABUCCHI, Pittore, Creatore della pittura ecologica: recensione critica del 5 ottobre 2003
“Le Nature Morte hanno un afflato neoclassico, riflettono un’istanza metafisica fiamminga e sono risaltanti”
ANTONINO DE BONO, estratto dalla “Perizia Stragiudiziale delle Opere del M° Giuseppe Frascaroli” - Tribunale Ordinario di Milano -, 8 gennaio 2004
“I dipinti di Frascaroli spirano un equilibrio e una tranquillità da far invidia ai fiamminghi del seicento…I suoi delicati paesaggi e le sue nature morte sembrano sospese in una immobilità senza tempo”.
ELENA CRISTINA BOLLA, Giornalista e Critico d’Arte: “Giornale di Voghera”, 28 ottobre 2004
«I dipinti con i quali l'Artista Frascaroli ha presentato il suo "mondo" e che abbiamo visto in parte esposti alla Mostra del Castello di Oramala, erano varianti intorno al tema della "Natura". Queste Opere extrapolano una ricerca intorno al mondo naturale e alla sua rappresentazione. Ma non ci traggano in inganno i titoli. Anche se si chiamano: Piccolo fiore, Zucca ed altri ortaggi, Campanule e mughetti, non si tratta di raffigurazioni naturalistiche. Non si tratta neanche di astrazioni coronate da titoli suggestivi. L’obiettivo del pittore è di raggiungere delle "combinazioni naturali" ambivalenti tra mondo oggettivo e stato d'animo, tra forma e colore. La sua intelligenza ci ha fatto entrare in recinti misteriosi, di accesso difficile, ma dove una volta penetrati sembra di essere iniziati alle segrete cose dell'universo. Questo pittore è un personaggio di cui non è possibile non tenere conto quando si cerca di penetrare in questo dominio di "allucinazione del reale". La lettura dei quadri esposti (alla mostra del castello di Oramala –n.d.r.-) ha richiesto molta attenzione. Si trattava di un viaggio "dal retinico al mentale", di una elaborazione, cioè, che partiva dall'occhio e si compiva in quella zona sublimale della mente dove maturano le immagini dei sogni».
ANTONIO DI TOMASO, Presidente Associazione Culturale “Varzi Viva”, gennaio 2005
“Le nature morte di Frascaroli, dal profumo fiammingo, assumono un palpitante e reale aspetto, invitando lo spettatore a cogliere il frutto che può essere gustato anche con lo sguardo…Il tema delle Nature morte, tanto caro all’artista, lo aiuta a respirare l’aria magica e suggestiva che animava i grandi maestri del Seicento, proiettando il suo subconscio in una dimensione eterea quanto vera, vera quanto eterea. Così nascono i suoi capolavori ad olio. La maestria della pittura del Frascaroli sta nel far risplendere un soggetto apparentemente spento, che riacquista energia grazie al suo pennello e ai suoi magici colori”.
CLAUDIO CROCE, Giornalista e Scrittore: “Giornale dell’Oltrepò”, “Giornale di Tortona”, “Giornale della Valle Scrivia”, marzo 2005
“…Ho potuto anche ammirare la qualità della Sua pittura nella mostra allestita presso Villa Nuova Italia (di Broni n.d.r.), in particolare nelle nature morte, forte di vivi contrasti di colori su fondo scuro, dove il nero riesce comunque a trasmettere luce. ...”
Mons. MARIO BONATI, Rettore Basilica M. San Pietro Apostolo di Broni: lettera a Frascaroli del 6 settembre 2005
“(…) La pittura di Giuseppe Frascaroli sta avendo successo e ha preso consistenza, avendo sui giornali un felice successo. Tra le varie pale d’altare e soggetti religiosi, oltre che le singolari e avvincenti «Nature Morte» di accento seicentesco, l’innovazione concerne due ritratti: San Colombano e papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla). Il san Colombano di Frascaroli (olio su tela cm. 100x80, 2004) risalta nella ieraticità e staticità di un uomo assurto alla storia ecclesiastica, Santo della chiesa cattolica. San Colombano non ci ha lasciato alcun ritratto, pertanto il pittore ha dato evidenza alla maestà del Santo, collocandolo in un’aura mistica e lirica dell’assunto. L’effige del papa Giovanni Paolo II (olio su tela cm 100x80, 2006) ha invece un aspetto “dinamico”. Come è noto, nel «ritratto» il fruitore ricerca la «somiglianza», ed il lato psicologico del volto per affermare, vuoi la componente individuale, vuoi la figura fisica e morale. In questo senso Frascaroli eccelle nell’immettere nel ritratto del papa, la trasfigurazione maieutica ed evangelica del personaggio. (…)
ANTONINO DE BONO, in: “Arte più Arte”, ottobre/dicembre 2005, pag. 16
“Ho visto il Catalogo dell’esposizione (di Giuseppe Frascaroli al Palazzo delle Prigioni di Venezia 2-28 dicembre 2006, n.d.r.) e ho potuto apprezzare tecnica e spirito delle sue opere.”
MASSIMO CACCIARI, Filosofo e Sindaco di Venezia - Posta elettronica del 15 novembre 2006
“Giuseppe Frascaroli, ripercorrendo il secolare solco dei canoni della classica iconografia cristiana, è stato capace di ricreare attraverso la pittura, un sentiero d’incontro del quotidiano con il mistero di Dio. Da un lato ci sono le sue nature morte, abili a raccontare quella serenità del focolare, che abita il cuore di tutti noi almeno come nostalgia; dall’altro, attraverso le figure dei testimoni del Vangelo, inizia a proiettarsi una prospettiva nuova che, lungi dall’annullare, esalta la semplice e genuina vita dell’uomo e la fissa nell’orizzonte del suo Creatore. Oltre a Giovanni Paolo II vanno assaporati, infatti, i Crocifissi e le tele coi Santi della nostra tradizione: Colombano, Cecilia, Alberto di Butrio, Marziano, Contardo. Hanno i tratti della nostra gente, s’incastonano nelle pietre di antiche pievi, nei marmi di altari vetusti, tra le viti e i boschi delle nostre colline, ma tutti s’illuminano di una luce nuova e trasfigurante che viene dal Cielo”.
Don MAURIZIO CERIANI, Vicedirettore de: “Il Popolo”, Settimanale di informazione della Diocesi di Tortona: “Il Popolo”, 23 novembre 2006
“Incontrare l’opera di Giuseppe Frascaroli significa immergersi in un mondo pregno dello spirito della natura e del sacro. La natura è presente nelle sue forme più semplici: una pannocchia, la frutta, una brocca, il paesaggio lungo il fiume. Si tratta di finestre che si aprono sulla cultura da cui proviene il pittore: la sua terra – l’Oltrepò Pavese – amata e che gli è entrata dentro. Egli però non si ferma all’aneddotico; sa raccontare il mondo perduto tramite piccoli “dettagli”, oggetti che ricordano la presenza umana: un mandolino, l’uva, un limone, una “canestra”. Consapevolmente, Frascaroli riecheggia l’arte “alta” caravaggesca. Ed è pienamente degno di quest’eco.
Anche il sacro gioca un ruolo estremamente importante nella sua pittura. La mostra (di Venezia n.d.r.) presenta diversi quadri che ritraggono Papa Wojtyla. Anche qui “tranches de vie”: momenti salienti della sua umanità e della sua vita. La levatura spirituale del grande uomo è tutta presente in questi quadri che colgono, nella migliore tradizione italiana, i movimenti (Leonardo li chiamava “moti”) del personaggio.
È facile quindi capire come Frascaroli uomo e colto pittore convivano nelle sue opere. Le varie storie – personale, familiare, della sua terra – vengono filtrate attraverso la sua pittura dottissima: abili dosature di luce, un’illuminazione che sa rischiarare il quadro e la stanza in cui è posto, ma anche la vibrante umanità del personaggio Wojtyla, grandissimo uomo di Dio, nei suoi momenti sereni (in montagna) ed in quelli più drammatici (sofferente, appoggiato alla croce) …”
LAURA TROIERO, Prof. Conservazione Beni Culturali, membro Circolo Artistico di Venezia: “Introduzione alla Mostra al Palazzo delle Prigioni, Ponte dei Sospiri - San Marco - 2-28 dicembre 2006”, Catalogo della Mostra
“Ho molto apprezzato l’interpretazione emotiva della sofferenza in Karol Wojtyla e l’uso gioioso – quasi rottura e contrasto – della tavolozza, che evoca la pennellata coloristica dei grandi maestri del Medioevo e del Rinascimento...”.
GIOVANNI OCCHIPINTI, Poeta, scrittore, saggista e critico letterario: Libro presenze della Mostra di Venezia di Frascaroli al Palazzo delle Prigioni, Ponte dei Sospiri - San Marco -, anno 2006
“Omnia munda mundi: tutto è puro per chi è puro nel tempio dello spirito, nella Gloria dell’Empireo e nelle sfere superiori dell’Arte eccelsa”.
Il Maestro Giuseppe Frascaroli, Pictor Optimum Oltrepadano, è Artista completo e compiuto le cui opere sublimano i fortunati fruitori, proiettandoli in una dimensione tanto raffinata ed eterea, quanto coinvolgente, quale è quella dell’Armonia assoluta, dell’Eterno.
Le sue raffigurazioni, siano esse a tema “Religioso” piuttosto che “Nature Silenti”, si manifestano, ad una prima valutazione critica, come pittura dotata di equilibrio perfetto tra toni e volumi, tra tecnica segnica e coloristica, ma che al contempo lascia presagire una fastosità di significati simbolici reconditi.
Le figure dei Papi e dei Santi sono monumentali e ieratiche, spesso riprese da un punto ravvicinato ed inserite in uno spazio indefinito, quasi annullato dalla concentrazione psicologica della preghiera.
Meditazione assoluta, spirituale, talvolta rappresentata in termini estasiatici, talaltra benedicenti, piuttosto che sofferenti, ma che consente in ogni caso di superare i terreni limiti della mera ritrattistica, naturalmente sempre di superba qualità, e di pervenire ad un messaggio spirituale universale.
La stessa luce, magistralmente rappresentata dal Maestro, più che provenire da un particolare punto della tela pare invece pervadere diffusamente il quadro, come a trasportare e cullare lo spettatore-attore di una realtà sovraumana, quasi catartica.
Ed ancora le Nature Silenti, di declinazione fiamminga, sono rappresentazioni di cui l’espressività artistica lussureggiante diviene spesso allegorica, densa di simboli e di spirituali valenze etico-civico-religiose che il Pittore trasmette con una tecnica assolutamente cristallina.
Ecco allora che i vuoti ed i pieni si intrecciano negli effetti chiaroscurali che, sovrapponendosi ininterrotti e ritmati grazie alle derivate modulazioni coloristiche, lasciano presagire una profonda ricerca introspettiva, un percorso finemente mentale ed intimista che induce a sublimi suggestioni dell’anima.
La splendida morfologia realizzativi ed il rivestimento epidermico policromo, presente nelle opere del Maestro, sono echi della palpitante sensibilità di questo talentuoso Artista che costituiscono “tremiti palpiti nell’arcana quiete, sommessi fruscii di naturale celato che all’aer sussurran eterne note di melodia pregne di beato”.
È in questa rappresentazione di assoluta magnificenza ed esaltazione dell’eterno che l’arte del Maestro Frascaroli spazia incontrastata divenendo essa stessa parte del tutto.
GIOSUE’ ALLEGRINI, Critico d’Arte: recensione critica del 7 aprile 2007
“L’Arte di Frascaroli è un maestoso insediamento dei colori, caleidoscopiche galassie proiettate sulla tela che si disintegrano nel subconscio dello sguardo, per poi ricomporsi nella memoria visiva che si riattiva ogni qual volta il ricordo lo esige. Sono gli occhi dell’anima quindi gli unici detentori della sublimità critica di ogni sua opera pittorica, così come l’udito è per la musica la sua quinta essenza, detentrice della sublimità melodica. I dipinti del Frascaroli posseggono l’astrattismo e la concretezza dell’accostamento visivo e uditivo che sono proprie del mondo cinematografico e televisivo, ed egli stesso è il regista e scenografo che anima la scena…”.
CLAUDIO CROCE, “Giornale dell’Oltrepò”, “Giornale di Tortona”, “Giornale della Valle Scrivia”, Anno XV, N° 6 - aprile 2007
“... I grandi santi venerati nelle nostre terre e i papi più recenti sono rivissuti da Frascaroli con una parte dello ieratismo delle origini cristiane e con la forza cromatica di una tavolozza coraggiosa e perciò leggibilissima: la gravità delle figure si stacca dal fondo proprio con la pienezza di quella fede che esse sono chiamate a simboleggiare. Le nature morte, invece, si collocano nella più chiara maniera pittorica italiana e le sentiamo nostre già al primo colpo d'occhio perché in esse quella che era la severità dei santi e dei pontefici si è trasformata in giochi di luce, di profondità e di spessore. Per chi osserva attentamente le opere di Frascaroli è sensazione gradevolissima il vedere che, in entrambi i gruppi di soggetti, l'artista riesce a utilizzare un tratto decisamente moderno e, nel contempo, è in grado di salvare tanti secoli di tradizione artistica a cui il nostro autore non si sente certo di voltare le spalle. È come se, utilizzando i propri strumenti conoscitivi ed espressivi, l'artista si soffermasse sulle volte del passato, in qualche modo rileggendole, facendole proprie in misura e forma sì personali, ma anche assolutamente rispettose dei moduli e degli stilemi classici: ne guadagnano in buona misura sia la fruibilità sia la compostezza compositiva”.
ZENO ZANARDI: Giornalista, Scrittore, Esperto d’arte: “Giornale di Voghera”, 24 luglio 2008
«... Tutti i dipinti (di Frascaroli n.d.r.), compresi alcuni ritratti di Papa Giovanni Paolo II, si richiamano all’antico, ma sono la visione moderna di una realtà attraverso la quale l’artista ci mostra la sua sensibilità e ci trasmette il suo messaggio. Il messaggio è certamente confortante se in un mondo caotico e globale ci rappresenta la realtà delle cose così come sono, molto vicino al vero e con un considerevole contenuto artistico».
RUGGERO JANNUZZELLI, Presidente Museo d’Arte Contemporanea Castello di Montesegale, Esperto d’arte, già Presidente di “Finarte”: presentazione della Personale di Pittura di Giuseppe Frascaroli al Museo d’Arte Contemporanea Castello di Montesegale, 28 settembre 2008
«È bello andare controcorrente. L’Arte lo deve fare, è la sua essenza. Nell’epoca delle certezze era controcorrente, per esempio, essere di sinistra. Choccavano Manzoni e Fontana. E proiettavano la mente e le riflessioni del pubblico un po’ più in là.
In parte noi siamo rimasti ad allora, all’imprinting del ’68, anni che l’arte pittorica aveva anticipato. Poi la società si è trasformata, è diventata narcisista e virtuale; ci sfiora e ci illude. E’ progressivamente si trasforma e si decompone. Una società che i giovani usano, mentre molti tra coloro che sono qui oggi, cercavano quarant’anni fa, di cambiarla.
Ma è anche una società che ci sorprende. Nell’ultima edizione, quella dello scorso novembre, della mostra internazionale d’arte contemporanea di Torino, mi aspettavo di vedere molti dipinti. Ho trovato soprattutto fotografie e installazioni video. L’arte pittorica è in declino, o è destinata a finire? Mi sono chiesto? No: va sempre controcorrente. Di fronte a una società complessa, l’arte semplifica, cerca il “vero” attraverso la fotografia. Di fronte a una società “googlistica”, virtuale, l’arte di Frascaroli, per esempio, si confronta e si oppone con la raffigurazione del reale.
Io non sono un critico d’arte, ma un osservatore e un “semplificatore” della realtà. Per questo sono rimasto molto colpito da un articolo del filosofo Emanuele Severino, pubblicato qualche giorno fa sul “Corriere della Sera” che si poteva intitolare anche così: «Creazionismo e darwinismo sono (filosoficamente) sullo stesso piano». Un articolo che può mettere in dubbio le certezze di molti di noi. Uno scritto profondamente nel nostro tempo, come l’arte di Frascaroli, che mi colpisce per questo. Perché le sue opere non temono la fede e il vero.
È bello e importante che un mecenate e un esperto come Ruggero Jannuzzelli abbia portato in mostra Giuseppe Frascaroli: lui è l’antimanzoni in un’epoca in cui sono “tutti manzoniani”».
ANTONIO MORRA, Caporedattore del “CORRIERE DELLA SERA”, Professore presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e della Comunicazione Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bergamo: presentazione della Personale di Pittura di Giuseppe Frascaroli al Museo d’Arte Contemporanea Castello di Montesegale, 28 settembre 2008
«Giuseppe Frascaroli, figura straordinaria di medico e pittore ha compreso e tradotto nella pratica professionale e artistica l’essenza profonda dell’animo umano. La sua “pittura del sentimento”, come è stata felicemente definita, coglie così gli aspetti più normali della realtà suscitando immediatamente profonde emozioni anche nelle persone più semplici, che riconoscono nei suoi quadri gli oggetti della loro vita quotidiana scoprendo che le cose più umili possono assurgere a modelli di grande arte nella loro essenzialità priva di, spesso presuntuosi, intellettualismi.
Vicino alla gente anche nella ritrattistica, soprattutto alla “sua” gente oltrepadana, sia per la scelta dei soggetti, sia nel felice tentativo di far emergere dal loro ritratto la spiritualità dei personaggi, papi e santi, vicini o lontani nel tempo, colti nei momenti di più intensa concentrazione mistica, stoica sofferenza o estatica contemplazione. La profonda sensibilità e la grande generosità lo hanno motivato a donare alla comunità di Zenevredo il ritratto di Don Giuseppe Vallebona, compianto e indimenticato parroco per quarant’anni. Questo meraviglioso ritratto, collocato nella Parrocchiale di San Vincenzo, permette a tutti i fedeli di ritrovare il pastore temporaneamente perduto che dalla tela sembra ripetere ancora una sua volta al suo gregge: il Signore sia con voi!»
GISELLA MARTINOTTI, Presidente Associazione Culturale “Progetto Raffaello” per il recupero dei beni architettonici Oltrepò Pavese, Storico dell’Arte: lettera a Frascaroli del 19 ottobre 2008
«L’opera di Giuseppe Frascaroli attrae e fa riflettere per la sincera passione figurativa e il coraggio nell’affrontare i grandi temi e i perenni modelli della tradizione pittorica. L’artista non teme di far rivivere il topos del ritratto, del modello sacro, della composizione vegetale... La delicata sfida, fra i pericoli del citazionismo e delle cadute retoriche, si rivela pienamente vinta grazie alla forza decisionista dello sguardo pittorico e ad un sapiente istinto da lucido regista. L’artista riesce a sintetizzare sobriamente i tratti essenziali e strutturali dell’archetipo scelto, sia l’ovale del santo medioevale o la Madonna con Gesù bambino o la frutta raggruppata sulla tavola. Nel contempo approfondisce l’iconicità del soggetto attraverso la concentrazione cromatica degli elementi, la plasticità del colore e la tessitura geometrica del sistema. La stessa scelta cromatica gioca con i chiasmi e i richiami antichi ma ripresentandoli in una logica di freschezza innovativa. La risultante coglie un equilibrio fra un senso platonico della figura umana nella sua valenza più simbolica e un pragmatismo compositivo efficace nella sua intensa comunicatività. Tre sono da sempre i connotati dell’icona: lo sguardo magnetico, l’assolutezza impositiva della rappresentazione, e il senso di metalinguismo. Tutti questi aspetti vengono coagulati da Frascaroli, il quale aggiunge il suo sigillo: ora lo sguardo obliquo, veicolo di speciale focalizzazione espressiva, o una particolare posizione delle mani, o una declinazione particolare del linguaggio simbolico, come nei tre chiodi alla base della croce nella sua estasi di S. Alberto. Lo sguardo obliquo drammatizza l’aspetto meditativo ed ascetico della spiritualità delle figure. Lo Ammiriamo in San Contardo e in Gesù bambino. Uno sguardo che ricorda quello del cupido del Parmigianino: penetrante e ardente, freddo e fiammante nel contempo. Lo sguardo della concentrazione e della vitale tensione interiore, lo spazio dinamico ed intensissimo dello Spirito, che fulminando “entra”. Vivificando e provocando, nella sensibilità dello spettatore. Gli esiti della sua ricerca all’interno della tradizione ci parlano quindi di una magniloquente padronanza dei codici espressivi dei canoni che hanno reso grande e condivisa l’arte italiana.
La sacralità non viene comunicata solo tramite la ieraticità delle posture e il carattere centripeto dell’assetto ma anche nella valorizzazione stilemica della figura umana in una reductio ad “essentiam et unitatem” serenamente drammatizzante, testimonianza visiva della testimonianza etica e spirituale incarnata. L’iconicità di un’opera non è solo data dalla fissità solenne di uno sguardo e dalla staticità e dalla centralità della figura umana ma si apprezza nella viva tensione intima fra tre fattori: aura di totalità dell’immagine, irradiazione di senso e rapporto di riverbero con il senso di un modello puro. Questa purezza e limpidità si coglie nel rigore etico e nell’autorevolezza del segno e delle cromìe di Frascaroli. Ancora San Contardo, ma anche la “Madonna col Bambino”, una luminescenza intima, sia tecnica che di consapevolezza, si sposa con la pienezza corposa della rappresentazione umana, equilibrio speculare e fra l’Idea e la sua partecipazione, fra l’attualità e la potenzialità.
Il concetto di memoria emerge quale altro aspetto discriminante nell’analisi dell’opera di Frascaroli. Qui l’iconicità irradia il valore aggiunto di “medium” fra l’arte metabolizzata e introiettata e l’arte proiettata, fra l’arte vissuta e trasfigurata idealmente e l’arte vivente della visione istintiva e contingente. In questo senso l’opera di Frascaroli esplica un parallelo ruolo sociale ed educativo, come sempre la pittura ha manifestato nelle sue eccellenze, Ma ciò ci riporta all’origine mistica dell’icona, alla sua intrinseca ed oggettiva funzione di “glorificazione” cioè di irradiazione della sostanza divina insita nel creato; funzione per sua natura performante e performativa in quanto coinvolgente lo sguardo dello spettatore nell’assimilazione allo sguardo dell’opera, trinità terrena di relazioni.
I cicli sacri di Frascaroli si avvicinano alla fusione fra iconografia e iconologia, in quanto la logica posizionale e simbolica solo sottilmente cela e rivela il Logos presupposto, sintassi vivente della grammatica data, amata e manipolata con disinvolta energia.
La statica dell’impianto, segno valoristico di un assoluto spaziotemporale, gioca una dinamica simbolica diffusa e con un’emozionalità tanto intensa e intima quanto tacitamente e sobriamente sottintesa. La vera espressività emotiva di un ritratto non deriva dall’ostentazione decorativa della mimesi psicofisica, ma, come in Frascaroli, dalla condensazione di pochi tratti “psicogeni”, anima del tutto, cuore centrale e vivente del corpo pittorico, sia ora la posizione di una mano della Madonna, o lo sguardo fisso di un Santo. Nei difficili ritratti di Giovanni Paolo II, l’artista coglie la via per vincere una difficile sfida rispetto alla jungla visiva asfissiante dei mass media: lavorare per sapiente “sottrazione” e riduzione, lasciar parlare il “silenzio”, il gesto non detto, il prima e il dopo dell’istante. Una pittura sincopata, coagulo di un processo che resta in divenire. Una pittura magnetica in cui lo spettatore viene quasi fisicamente “accordato” alla scala tonale che si sta declinando. E allora Giovanni Paolo II viene colto nella fatale unicità del suo essere, nell’”esserci lirico” di un attimo “sub specie aeternitatis”. Visione e interpretazione si rincorrono circolarmente: il Papa icona dell’umanità e il Papa uomo, Giovanni Paolo II e Karol Wojtyla: unità universale nella resa realistica e concreta della sua espressività in cui la spirituale e rituale funzione pontificale non si distingue dall’umanità interiore più profonda, delicata e sensibile. Qui la sacralità diventa triplice: nella persona del Pontefice, nel ricordo della sua vita spesa totalmente nella missione, nella specifica postura e resa pittorica. Una pittura di mimesi e di anamnesi. In Frascaroli quindi l’espressività emozionale viene resa “giocando di sponda”, liberi da ogni ansia dimostrativa e convinti della preziosità narrativa del concetto di “allusione” e di “accenno”.
Frascaroli ci ridona il gusto della giusta proporzione, l’equità e la saggezza dell’invenzione pittorica. La tra svalutazione della tradizione, assunta con passione e lucida regia, diventa ricapitolazione palingenetica di secoli di storia pittorica fino ad uno stilema che ricorda la scuola di Roma, con echi dell’ultimi, più dolce, futurismo, e, in certe opere, un riverbero del valore filosofico più puro e primordiale del naiff, nel suo assoluto senso di reinvenzione olistica dell’idea di realtà.
L’attualizzazione del topos mitico, del racconto senza fine che ciclicamente ritorna in linguaggi molteplici restando sé stesso, si ammira non solo nella ritrattistica sacra, ma anche nelle “nature vive”, i classici gruppi oggettuali e vegetali. In essi la simbolicità è implicita e relazionale, giocata sul rispecchiamento degli elementi e sull’approccio filosofico parte/tutto. Si gusta allora una sacralità laica in cui l’oggetto coincide con la visione di sé stesso in una scena che unisce austerità a teatralità. Come nei soggetti sacri così pure in quelli scenici, micro-paesaggi umani anche se formalmente non compare la figura umana, è bandito il diffuso rischio di retorica o di citazionismo grazie alla “grazia” dell’artista e ai valori forti che incarna nella sua opera. Proprio nella riproposizione del modello più antico e diffuso l’artista imprime la propria unicità qualitativa “scomparendo”, cioè donandoci uno degli effetti di eccellenza della pittura, l’illusione cioè che l’opera parli da sola e sia indipendente dalla soggettività del suo autore, la suggestione dell’assenza di mediazione. La visione pittorica quale fatto narrativo autogeno, quale scena mundi di se stessa. Non ci sono quinte, né attori distinti dalla rappresentazione, quasi non ci lascia lo spazio neppure all’interpretazione, in quanto di fronte ad una tavola riccamente imbandita di pluriforme e pluricromatica frutti della natura ad un simulacro di Ulisse non si può che rimanere a meditare ipnoticamente nell’incanto. Frascaroli rimitizza e risacralizza anche la tavola imbandita trasfigurando i segni antichi della pittura in una nuova e fresca poetica oggettività condivisa, in cui la lucida impenetrabilità dei corpi, e tutto diventa eloquente corpo, vibra di un limpido e delicato mistero. Accanto al tradizionale chiasmo cromatico fra rosso/giallo su bianco (la tovaglia/sindone del creato) e giallo su vermiglio, giocato con leggera disinvoltura, godiamo delle tenui gradazioni interne dei colori/corpi, aree zonali strutturali. Come per i ritratti anche qui emerge la dimensione “architettonica” della pittura, tessuto connettivo di fluide strutture mentali. I dettagli ci parlano: dal melograno aperto come dalla cruda linea del tavolo/tovaglia al paiolo di rame che sembra a sua volta un grande frutto, fino alle ciliege/gocce di sangue, alle foglie/farfalle, e al cordino/serpe che dialoga il suo doppio in ombra insieme alle foglie. La luce zenitale, serenamente inquietante, interviene su un substrato luminescente omogeneo, segno iconico di permanenza dell’essere. I dettagli sussurrano e tessono l’incanto, come per le due metafisiche ed esistenziali brocche che rappresentano, insieme ai due cocomeri posti alla loro base, un subcosmo di grande energia e tensione “drammaturgica”. Anche qui l’antica lezione viene rivissuta in un serio gioco: la brocca più grande “si apre” con un illuminante ed esoterico cordino, ma tiene celata l’imboccatura come un enigma, ed entra “in croce” con il fisso cocomero, mentre la seconda brocca, più femminile ed affusolata, lascia “cantare” una viva imboccatura che si muove insieme al vicino cocomero obliquo. Gestualità dell’allocazione compositiva. Il ligneo e tellurico Ulisse, occhio immobile della tempesta pittorica, sembra ergersi dal recipiente di frutta distogliendo assorto lo sguardo mentre le foglie palpitano.
In “Trompe d’œil” il pittore gioca con il rapporto contesto/oggetto fra significato e significante, fra visione-oggetto e visione-linguaggio, in una sequenza sinottica cui l’azione diventa contemplazione e la visione uscita dalla reificazione. L’istinto configurativo di Frascaroli reca in sé condensati intellettuali a prima vista non avvertiti. La coralità viva del contingente mediante la teoria di molteplici stati dell’essere: la materia consumata (la fetta di formaggio), la materia voluta e sigillata (il vino imbottigliato), la materia allo stato puro (l’uva), la materia quale scenografia (il mobile ligneo). Ecco il diorama iconico e ironico dell’oggettualità fenomenica, dove un lirico iperrealismo si congiunge ad un sottile senso di surrealtà. L’autore? L’etichetta di una delle tre bottiglie. Sapiente auto lucidità! In joco veritas.
Nel senso quotidiano del mistero, nella fatalità inesorabile del particolare, dove tutto è testimonianza universale, nella credibilità dei fatti, nella dignità sacrificale di ciò che “deve apparire” si può tentare di riassumere l’opera di Frascaroli, che in questa grande mostra milanese trova matura ed esauriente, sebbene non definitiva rappresentazione. Questa è la vera “pop art”, in senso stretto ed etimologico, cioè una pittura che sa interpretare la contemporaneità e il senso/bisogno di identità collettiva nel farsi relazione partecipata. I tempi sono sempre stratificazione di tempi, simultaneità di mondi. Come nella tragedia greca l’unicità assoluta dell’opera veniva riconosciuta nel come si dipanava la medesima storia già tesoro di appartenenza. Vox populi vox Dei».
GIACOMO MARIA PRATI, Funzionario direttivo Ministero Beni e Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano: recensione critica del 15 aprile 2009
«(...) Il quadro del Servo di Dio p. Giacomo Viale è un piccolo capolavoro d’arte e contemporaneamente si rivela un’iconografia puntuale per raccontare il progetto francescano da lui mirabilmente vissuto. Non è raro incontrare nella prima cappella della chiesa persone attente ad ammirare la figura del “fratino” così pittoricamente composta e seraficamente espressiva nell'arco che conduce a spazi infiniti nel cielo e all'orizzonte sul mare, con palme che danzano al vento (…). Il contesto del quadro ad olio significativo nelle linee pittoriche aiuta ad esplorare la figura di p. Giacomo nel versante della spiritualità e su quello dell’azione».
P. GUGLIEMO BOZZO, Padre Guardiano Convento S. Maria Delle Grazie di Voghera, lettera a Frascaroli del 28 maggio 2009
«… pregevole opera (l’allegoria del 150° anniversario dell'unità d'Italia, ndr) (…)»
LOUIS GODART, Direttore conservazione del patrimonio artistico della Presidenza della Repubblica, Socio dell’Accademia dei Lincei, lettera inviata a Frascaroli il 23 maggio 2011
«(…) tu non hai un'idea di quante persone si soffermano ad ammirare il tuo quadro e i commenti che fanno, le esclamazioni di meraviglia. (…) Mancava in Santuario un quadro completo, in esso è rappresentato tutto il significato dell'Apparizione ...»
Don GREGORIO VITALI, Rettore del Santuario-Basilica della Madonna della Bozzola-Garlasco (PV), lettera a Frascaroli del 16 settembre 2011
«(…) Ciò che Lei fa è di importanza vitale perché dà forma e colore alla Scrittura. Anche attraverso la bellezza delle immagini i fedeli si possono avvicinare a Dio e contemplare il suo volto...»
S. Ecc. Rev. Mons. GIOVANNI D’ERCOLE, Vescovo ausiliare dell’Aquila: lettera inviata a Frascaroli il 23 settembre 2011
«Il Maestro Giuseppe Frascaroli senza dubbio è uno straordinario interprete di opere a tema religioso, in cui la vibrante umanità dei personaggi rappresentati si fonde con l’enfasi spirituale salvifica, che da essi traspare, e viene ulteriormente sublimata da una magistrale rappresentazione della luce che pervade delicatamente il quadro, come a voler trasportare lo spettatore-attore in una realtà sovrumana, quasi catartica.
Ma è nella narrazione delle nature silenti, delle Vanitas e delle raffigurazioni allegoriche, tutte opere presenti nel corpus espositivo odierno, che il Maestro Frascaroli fornisce, a mio giudizio, il più affascinante esito pittorico, in quanto l’espressività lussureggiante di questo Artista si orna di intriganti valenze simboliche, trasferite agli occhi del fortunato fruitore con una tecnica cristallina, in cui i vuoti ed i pieni chiaroscurali vengono accompagnati da derivate modulazioni coloristiche, lasciando così presagire una profonda ricerca introspettiva, un percorso finemente intimista che induce a sublimi suggestioni dell’anima.
Da quando Caravaggio portò a compimento la sua Canestra di Frutta sul finire del XVI secolo, collocando così una pietra miliare per il genere pittorico che solo molto più tardi in Italia avrebbe assunto la qualifica di natura morta, molta strada è stata percorsa: siamo passati dalle raffinate opere fiamminghe di Van Dick, che ne apprese la tecnica lavorando nella bottega del Cavalier d’Arpino, a Paul Cezanne che asseriva di voler “stupire Parigi con una mela”, a Giorgio de Chirico, le cui vite silenti riecheggiavano embrioni della poetica metafisica, ed in questo excursus il Maestro Frascaroli ha innestato la propria arte narrativa ed espressiva divenendo Egli stesso mirabile interprete. Un artista che ha saputo sublimare, nella percezione della natura in generale ed in particolare delle vite silenti, i moti dell’animo che pervadono le scene raffigurate.
La plasticità e la raffinata eleganza sottesa dalle proprie composizioni, in cui suntuose imbandigioni e voluttuosi drappeggi si alternano a suppellettili cesellati e vetri sfavillanti, paiono comporre una silenziosa trama iconografica di forme nello spazio, in cui ciascun elemento è di per sé evocatore di profonde valenze simboliche. La sovrana calibratura compositiva ed un mirabile governo, come detto, dei volumi prospettici determinano intriganti suggestioni visive, e denotano, al contempo, l’accesa sensibilità poetica dell’Artista.
Giungiamo così ai quadri raffiguranti i temi delle Vanitas, un ineguagliabile concerto di attributi che rappresentano il trascorrere ineluttabile del tempo e le attività dell’uomo, a cui si aggiunge una rarefatta, ma percepibile, atmosfera sacrale che impone all’osservatore un’inconsueta disposizione di tensione intellettuale e di riflessione spirituale.
Particolarmente intriganti sono poi i trompe-l’oeil del Maestro Frascaroli, opere di grande virtuosismo coloristico, in cui emerge un realismo elegante sotto il profilo della costruzione dello spazio, dell’articolazione della luce e della resa delle superfici che inducono ad istanze illusionistiche particolarmente pregevoli, tali da competere con i pittori greci Zeusi e Parrasio.
Volendo poi cercare di inserire e contestualizzare il percorso artistico di Frascaroli all’interno della storiografia ufficiale del XX secolo possiamo anzitutto affermare che la figurazione classica, espressa dal Maestro, risulta naturalmente allineata al solco tracciato dalla tradizionale tendenza figurativa costantemente manifestatasi nell’ambito artistico italiano durante l’intero corso del Novecento il quale, partendo dal Futurismo di Carrà e dalla Metafisica di De Chirico, si sviluppa lungo i movimenti “Espressionismo” di Maccari, “Novecento” di Gentilini, “Corrente” di Sassu, per giungere alla Transavanguardia e all’Anacronismo di Mariani e Di Stasio, cui il Maestro aderisce.
Concludendo possiamo asserire che la straordinaria vena creativa e la splendida morfologia realizzativa presente nelle opere del Maestro Frascaroli, oltre ad essere eco della palpitante sensibilità di questo eccelso interprete figurativo classico, è Arte in grado di sublimare l’animo dei fortunati fruitori in maniera completa ed appagante, riuscendo a trasportare gli stessi in una dimensione tanto eterea e raffinata, sul piano pittorico, quanto poetica e coinvolgente in termini di contenuti espressi.
Come del resto asseriva Eugène Delacroix, pittore francese tra i maggiori esponenti del Romanticismo: “la prima virtù di un dipinto è di essere una festa per gli occhi” ed aggiungerei “un medicamento per lo spirito ed un vettore di conoscenza per la mente”».
GIOSUE' ALLEGRINI: presentazione della Personale di Pittura di Giuseppe Frascaroli ad “Ars Antiquae” di Andrea Rivoira - Voghera -, il 5 novembre 2011
«Si sale per la scala a chiocciola e si è sotto il tetto, sostenuto da vecchie e sapienti travi di rovere. Dalle finestre vedi la campagna deserta di Bastida de’ Dossi, Basso Oltrepò pavese, tra il grande fiume e le prime colline dell’Appennino. Non sai ancora da dove venga questo silenzio, se da fuori, o da dentro di te, o dalla mite sacralità del locale. Sei probabilmente in una dimensione inconsueta, e se è una espressione cui è facile ricorrere, ma se non lo fai adesso e qui, quando lo fai?
Frascaroli lavora nel rifugio che si è preparato con amore e con verità, delle quali risponde solo a sé stesso. Non c’è nulla, qui, che non sia correlato (e anzi, necessario) ai suoi quadri; ho certamente visitato, o soltanto veduto, non pochi di studi, e in più d’uno ho trovato (ma cordialissima, intelligente, rarissimamente snob, e in fondo, ci stanno benissimo) qualche citazione personale dell’artista, un ritaglio, che so? un diploma, una medaglia. Qui, nulla. La relazione con l’arte non potrebbe essere più diretta e necessaria. Qui tutto comincia con colori, tela e pennello, e finisce con il dipinto. Credo che sia per questo che ho parlato di sacralità.
Dei dipinti di Frascaroli, del suo rapporto con la pittura e nel suo posto in essa, parleranno altri, quelli che le cose le hanno viste, meditate, studiate e che a buon diritto ne possono parlare. Non sono dei loro, mi limito a dire della gioia e della serenità che i suoi quadri mi hanno dato, insieme con la sottile percezione di avere inteso un po’ di più (e mi rifaccio anche alle parole scritte all’inizio), di quei versi di Eliot “so che il tempo è sempre e solamente il tempo / lo spazio è sempre e solamente lo spazio”: Frascaroli nello spazio che ha scelto dipinge, e accanto a antiche cose, a cose “di allora” (o forse, e sarebbe meglio “d’antan” di un precisato passato) ti fa scoprire un accendino, un cellulare, una griffe di oggi, anno del Signore 2012».
MINO MILANI, giornalista, scrittore, fumettista e storico. Prefazione al Volume d’arte: “Giuseppe Frascaroli, un maestro dell’arte figurativa”, Guardamagna Editori in Varzi, anno 2012
«Gentilissimo Maestro Frascaroli, (…) La ringrazio vivamente per aver contribuito, con la sua presenza, a dare maggior lustro ad un evento quale la ricorrenza ventennale della fondazione del centro culturale “Giorgio La Pira”. In particolare, un grazie a nome mio re della cittadinanza per il prezioso dono che ha inteso regalare a Pavia: un’opera che ritrae, secondo una inusuale visita prospettica, il maggior monumento della città (il cui restauro sarà presto concluso) e alla quale l’inserimento della importante figura del nostro patrono, San Siro, conferisce, se possibile, ancor più rilievo. Orgoglioso che Pavia possa vantare un artista di grande cultura e talento quale ritengo lei sia, le porgo i miei più cordiali saluti».
ALESSANDRO CATTANEO, Sindaco di Pavia, attualmente Deputato della Repubblica: lettera a Frascaroli del 29 giugno 2012
«...Il corpus espositivo di opere raccolte in mostra consiste in centotrenta capolavori, realizzati da cento artisti moderni e contemporanei, che coprono oltre un secolo di storia, provenienti da fondazioni, importanti collezioni private e gallerie di livello nazionale.
Caratteristica particolarmente espressiva delle opere esposte è la notevole diversificazione delle tecniche e degli stili adottati, dei soggetti raffigurati e dei periodi storici rappresentati, andando di fatto a spaziare da ambiti Cubisti, Futuristi, Dadaisti, Metafisici, e Surrealisti con Picasso, Futurballa, Duchamp, de Chirico e Chagall, per arrivare alle nuove tendenze dell’Arte Contemporanea transitando per l’Informale, lo Spazialismo, la Transavanguardia, l’Astrazione Geometrica, l’arte Concettuale e i Nuovi Media.
Tra gli artisti moderni contemporanei sono inoltre presenti Mattia Moreni, Marco Lodola e Giuseppe Frascaroli, pittori del territorio pavese che hanno ormai raggiunto, nei rispettivi ambiti, un livello di notorietà internazionale...».
LUIGI TOLA, caposcuola a Genova della Poesia Visiva: introduzione alla Mostra Nazionale del Castello Visconteo di Pavia 9 dicembre 2013 – 3 febbraio 2012 “I Colori del Tempo, centotrenta capolavori di grandi maestri del XX e XXI secolo dal Futurismo all’Arte Povera”
“Argomentare su Giuseppe Frascaroli, artista pavese di assoluto rilievo nazionale che seguo da anni, significa rimandare alla figura di Italo Mussa, grande critico d’arte prematuramente scomparso che fu teorizzatore di quello straordinario movimento di declinazione postmodernista, nato agli inizi degli anni Ottanta del Novecento e definito “La peinture de l’avenir”, anche detta “Pittura Colta” o “Nuovo Romanticismo”; un movimento che riportò in auge il dato figurativo dopo oltre un trentennale predominio di pittura informale, astratta e concettuale.
I Pittori Colti, come scriveva Italo Mussa, “recuperano l’immagine che contempla ed evidenza nella propria iconologia e nei propri processi la propria temporalità, la propria durata. La sua dimensione è la memoria, la sua estensione è nel tempo della memoria, saldando memoria soggettiva e memoria storica, proponendo un anacronismo sincronico”. Un movimento che ha nella reinterpretazione del mito e della ragione, attraverso la memoria, il suo “primus movens” spirituale ed intellettuale. Come asserisce Italo Mussa “un momento della storia che è riassunto in termini archetipali nella simultaneità della coscienza”. Questo è il suo modo di meravigliare. Del resto, è la stessa natura antitetica della nostra cultura, sempre sospesa in bilico fra Razionalismo e Antirazionalismo, fra Modello e Unicità, che produce effetti di conoscenza che spesso ribaltano la realtà in finzione e la finzione in realtà.
Ma trattare del maestro Frascaroli significa anche discutere e ragionare su un importante enclave artistica e cenacolo culturale, nato a Firenze negli anni ’70, ossia la Bezuga del Prof. Giuliano Allegri, grande amico di Italo Mussa, nonché fra i massimi stampatori italiani d’arte del XX secolo.
Altri personaggi promossero, come noto, la Pittura Colta in vari ambiti e livelli di competenza: da Pio Monti, alla galleria il Polittico di Massimo Caggiano e Arnaldo Romani Brizzi, all’editore De Luca, solo per citare alcuni esempi. Altre declinazioni artistiche si ramificarono dall’intuizione di Mussa: dall’Anacronimo di Calvesi all’Ipermanierismo di Tomassoni, ma la Bezuga di Firenze ebbe un ruolo determinante nella fase iniziale di costituzione del movimento teorizzato da Mussa e Giuseppe Frascaroli ne colse e condivise, fin dai primi anni di costituzione, l’essenza teoretica del movimento, al punto tale che, come spiegherà diffusamente Giuliano Allegri nel testo di presentazione del presente catalogo, se il grande Italo Mussa non fosse prematuramente scomparso il maestro pavese sarebbe stato inserito ufficialmente nel relativo movimento, unico a poter ambire a tale riconoscimento, in aggiunta agli artisti del gruppo storico.
Trattare del maestro Giuseppe Frascaroli significa poi parlare del “pittore neurologo”, o se si preferisce il “Pittore dei Papi”, come Egli è noto al grande pubblico. Un artista pavese di assoluto spessore creativo, di adesione culturale neoclassicista, che fu, come detto, fra i primi a comprendere l’importanza della “Pittura Colta” o ’”Arte della Memoria” fin dai primi anni della sua costituzione. Un’arte che fu di contraltare al movimento della Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. Sia la Pittura Colta, sia la Transavanguardia nacquero infatti quando l’arte dell’Occidente avvertiva, ormai da anni, la necessità di ritrovare nelle strutture della tradizione la propria identità e si iniziò a sviluppare una violenta ansia di recuperare l’ordine della pittura di narrazione.
Nel caso della Transavanguardia venne proposto un rimando concettuale al Manierismo Cinquecentesco di Pontormo, Rosso Fiorentino e Beccafumi, esplicitato con gli strumenti precipui dell’espressionismo, in analogia a quanto sviluppato in Germania con Baselitz, Schnabel e Kiefer con il Neoespressionismo Tedesco.
Nel caso della Pittura Colta queste premesse vengono sovvertite. È una pittura nitida, di politezza quasi iperreale, che può riproporre la raffinata artificiosità della maniera o l’algida compostezza neoclassica con rimandi a tautologie concettuali evocate attraverso la memoria, il proprio tempo, piuttosto che palesate, come ad esempio nell’Anacronismo. È in ogni caso una pittura che torna alla propria storia, che interroga e rivive.
Cita a tal proposito il maestro Frascaroli: “mi sono ormai reso consapevole che l’artista debba cercare di ritrovare equilibratamente la propria dimensione umana, rispolverando e riprendendo quella gloriosa tradizione culturale, fonte di tanti capolavori, che è stata l’ispirazione alla classicità, anche se questa deve lasciare spazio ad una reinterpretazione della stessa, con rimandi alla contemporaneità e alle istanze sentimentali romantiche. Sono infatti sempre più convinto che l’ideale classico di una bellezza e di una grazia perfette, espressione in origine di un animo non turbato dalla passione, può e deve tradursi in un nostalgico vagheggiamento di una condizione naturale sperduta che si apre alla rappresentazione delle lacerazioni, delle inquietudini e delle passioni dell’uomo moderno”.
Inizialmente influenzato dalla Pittura colta di Italo Mussa - in cui la liquidazione dell’eredità delle avanguardie avviene attraverso una citazione concettuale circoscritta ed intimista, una tensione emotiva verso il ricordo, la memoria, il mito che vive e si rigenera attraverso contaminazioni figurative neoclassiciste, fra passato e futuro - Giuseppe Frascaroli ha poi esplicitato il suo lavoro in chiave pseudo-anacronista usando l’immagine classica come elemento simbolico d’ispirazione poetica, accostando in essa piccoli oggetti reali allusivi e seminascosti all’interno del componimento, che riuscissero a creare una sorta di ponte astratto nello slittamento temporale con una intrigante sensazione di atemporalità pervasa dal senso del bello, inteso come elemento riconciliante degli infiniti contrasti del mondo.
Una collocazione storica sfalsata semi-occulta, dunque, pervasa dai valori dell'Arcadia perduta, quei valori, secondo il maestro Frascaroli “in cui la mitica Ellade diventa romanticamente patria e luogo ideale di equilibrio interiore, luogo ideale del risarcimento della tempesta del vivere, luogo altrove di purificazione catartica in cui meglio si realizza il mito della Bellezza rasserenatrice”.
L’artista si trasforma, quindi, in una sorta di moderno archeologo del mondo naturale e dei sensi, che indaga su quanto esiste al di sopra della superficie frivola e stereotipata della contemporaneità e quanto, invece, si manifesta al proprio interno, giungendo a legare queste correlazioni con l’espressività della mente umana, quasi a voler sradicare dalle fauci del moderno Leviatano, volontariamente o istintivamente, la quint’essenza dell’essere umano, per ritrovare nel proprio ego istintuale e naturale la condizione mitologica di autenticità.
Una sorta di “Anacronismo Tautologico” o “Anacronismo Concettuale” come ama definirlo il maestro indagato con gli strumenti della Pittura Colta. Non iconografie classiche contaminate da scarti compositivi rimandanti alla contemporaneità in maniera diretta, palesemente citazionista, tipica degli Anacronisti, o forzatamente leziosa, precipua degli Ipermanieristi, bensì composizioni d’impronta neoclassica, manierista, pervase da intriganti guizzi concettuali in cui lo sfasamento temporale indotto viene evocato delicatamente attraverso piccoli allusivi inserimenti che vanno attentamente investigati all’interno del componimento. Un occhio che prima di essere nuovamente proiettato nella contemporaneità, dalla presa di coscienza dell’incoerenza cronologica del componimento, recupera il senso estetico nell'arte, che secondo il maestro significa “provare piacere attraverso la produzione del bello: il bello, l’armonica proporzione, l’eleganza e la ponderazione, sicuramente generano un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale.
Una sorta di rilettura moderna del mito, a partire da Freud, come momento indispensabile della autocoscienza critica del nostro tempo, quasi a voler esaltare la distanza tra l’essere finito e l’essere eterno, di cui il frammento estraniante è proprio l’elemento distonico compositivo semicelato che diviene l’espressione tragica della condizione umana, il segno della solitudine e dell’incomunicabilità. Siamo di fronte al rifiuto della sperimentazione, alla volontà di fare piazza pulita di tutti i retaggi delle Avanguardie, di sbarazzarsi del “progetto moderno rimasto incompiuto, quello illuminista” come cita correttamente Lyotard nel suo trattato sul Postmoderno.
Le opere di Frascaroli mirano ad una maggiore consapevolezza e comprensione della dimensione spazio-temporale, indotta dalla ricerca dell’elemento distonico, e invitano a riflettere sulla possibile armonia tra passato, presente e futuro, senza soluzione di continuità. I suoi dipinti sono pervasi da un’atmosfera trae ispirazione dai temi classici e mitologici per affrontare problemi che da sempre accompagnano l’uomo nel proprio “excursus vitae” quali la riconciliazione tra la memoria e la perdita di riferimenti, tra l’effimera vanità e la verità assoluta; il tutto affiancato da un raffinato concettualismo che si sostanzia nella dimensione del ricordo, in una proiezione intimista della memoria, “Mnemosyne”.
Ogni società, ogni individuo vive attraverso la memoria. Senza memoria non c’è durata, non c’è anima. In tale ottica l’intellettuale, l’artista assumono l’atteggiamento di un nomadismo culturale che permette loro i ripercorrimenti più diversi: ed ecco il rifiuto delle Avanguardie e il recupero della storia in modo antistorico distaccandola dal tempo per farla diventare tutta contemporanea e in parallelo.
Con questa manifestazione Frascaroli si propone di documentare il passaggio da una stagione povera ad una stagione ricca in cui si constata un rinnovato interesse verso aspetti libidinici trascurati dall’eretismo mentale insito nel concettuale e pure da esso non completamente allontanati se è vero che proprio nel suo seno si articolano i perni di una nuova situazione, cioè la tendenza a ricadere dentro la storia a ripercorrere a “rebours” il cammino dell’arte. Una riscoperta che, nel caso di Frascaroli, si coniuga con i salvifici canoni di bellezza dostoevskijani andando ad elevare l’animo dei fortunati fruitori in maniera tanto raffinata e suggestiva sul piano artistico, quanto unica e irripetibile sul piano dei contenuti espressi.
Come del resto asseriva Agnes Martin, pittrice Minimalista statunitense legata all’Espressionismo Astratto: “la Bellezza è il mistero della vita, non è negli occhi ma nella mente, nella nostra mente c’è la consapevolezza della perfezione”.
GIOSUE' ALLEGRINI, Capitano di Vascello M.M., Capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Critico d’arte, in: “Omaggio a Italo Mussa” – edizioni della Bezuga. Catalogo Mostra Nazionale al Castello di Belgoioso, Pavia 4 febbraio – 13 marzo 2017
«Erano gli anni Ottanta quando alla Galleria della Bezuga si presentava carico di dipinti il giovane artista Giuseppe Frascaroli; arrivava da Voghera e aveva saputo della mia collaborazione con lo storico dell’arte Italo Mussa. In quegli anni si parlava molto del movimento artistico lanciato da Mussa e il giovane Frascaroli avrebbe voluto farne parte. (…) Il giovane Frascaroli, già dotato di straordinaria abilità artistica e di formidabile tecnica esecutiva, ebbe innumerevoli incontri in quegli anni con Carlo Bertocci e in seguito con Alberto Abate. La tecnica e la ricerca intellettuale si affinò a tal punto che, a distanza di molti anni, quando ci siamo nuovamente incontrati a seguito del mio trasferimento in Oltrepò Pavese, decisi di aggiungerlo fra gli artisti storici in questa edizione, come unico componente del territorio pavese capace di portare avanti una teoria di linguaggio mai scaduta, anzi, di un’attualità dominante nel panorama artistico contemporaneo. La mia convinzione su Frascaroli non mi lascia alcun dubbio sulla certezza che Mussa oggi (se fosse ancora in vita) lo avrebbe chiamato a far parte della sua scuderia. Una scelta, ma anche una certezza sulla qualità del lavoro che non lascia dubbi, al contrario conferme. Oserei dire che nel panorama artistico contemporaneo, ormai saturo di facili approcci al mezzo pittorico, pochi come Lui conoscono la tecnica e il lavoro duro del saper dipingere e costruire l’opera. In un mondo come quello attuale, dove è difficile non cadere nel vuoto che ci circonda, è necessario tornare alla ricerca della bellezza, all’uomo faber, capace di costruire con le proprie mani e con l’intelletto. Voglio aurarmi che Frascaroli non sia l’ultimo dei colti.
GIULIANO ALLEGRI, Editore, in: Artisti dalla Pittura Colta, “Omaggio a Italo Mussa” – edizioni della Bezuga. Catalogo Mostra Nazionale al Castello di Belgoioso, Pavia 4 febbraio – 13 marzo 2017
«(…) Ho ricevuto e particolarmente gradito la Sua pregevole opera pittorica ritraente la mia figura, accompagnata dalla cortese missiva in cui ha illustrato le caratteristiche del Suo operato, unitamente a espressioni di profonda stima e vicinanza che ha voluto riservare alla Marina Militare. Mi sono note le Sue riconosciute doti artistiche, grandemente apprezzate in numerose e prestigiose Sedi Istituzionali, fra cui la Santa Sede. Dipingere un’immagine significa sottrarla al trascorrere del tempo, leggerla immersa nella sua luce più recondita, per goderla compiutamente in una meditata e assorta contemplazione, come recitavano gli antichi. Ho trovato estremamente interessante e coinvolgente l’interpretazione dello spazio prospettico di sfondo al dipinto, che vede stagliarsi la bandiera della Marina, cui si è rivolto il cuore di ogni marinaio, la Dea Atena, metafora di sapienza, equilibrio e ponderatezza, e la Nave Scuola Amerigo Vespucci, che solca il mare all’alba così simile al tramonto, tanto caro a tutti i Marinai. Simboli evocatori della vera dimensione valoriale della Marina Militare, che mi onoro di rappresentare, quale patrimonio storico e identitario degli italiani ed elemento di coesione nazionale (…)»
VALTER GIRARDELLI, Ammiraglio di squadra, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, lettera a Frascaroli del 5 luglio 2017
Visione, tatto, memoria, olfatto: gli odori si legano spesso alle emozioni; capita infatti, esaminando un aggraziato dipinto, di inspirarlo attraverso le narici...Ebbene, dal gesto pittorico di Frascaroli che diventa atto creativo dell’anima, dai dipinti di questo animato e vivace ritrattista di situazioni, di vita vissuta, oltre che di elementi vegetali presenti in natura, emana come un delicato profumo che ti fa “sentire” l'essenza dell'opera, che viene così arricchita e completata, coinvolgendo la totalità dei sensi...»
LAMBERTO PIGNOTTI, padre della poesia visiva, Premio Cino Del Duca presieduto da Eugenio Montale del 1961, dedica scritta di sua mano sul libro “Giuseppe Frascaroli, la Pittura della Memoria” Ed. Guardamagna 2019 - 11 febbraio 2019
«Originale e intrigante l’“Autoritratto leonardesco” che Frascaroli ha voluto omaggiare al Genio rinascimentale: un’opera allegorica che colpisce per la grazia e la purezza di composizione, il misurato equilibrio spaziale, l’impeccabile resa dell’effigiato e la netta definizione plastica, seguendo, come è sua consuetudine, i canoni estetici del classicismo; gli è stata d’ispirazione un’opera di Pompeo Batoni, uno dei principali esponenti della fase di transizione tra tardo barocco e neoclassicismo. Con la mano sinistra, quasi a voler “assimilare” lo spirito del Maestro Vinciano, l’artista, ritrattosi in tenuta settecentesca, si appoggia a quello che molti ritengono un autoritratto a sanguigna dello stesso Leonardo, ma che probabilmente si tratta di un volto di vecchio. La mano destra regge una tavola in legno che così recita: “Aut tace, aut loquere meliora silentio”, “Taci, a meno che il tuo parlare sia meglio del silenzio”: motto riportato su un famoso quadro di Salvator Rosa, e attribuito a Pitagora dallo scrittore greco Stobeo. In questa frase Frascaroli ha voluto esprimere il tema della meditazione, vivissimo in Leonardo. Leonardo meditativo, estremamente riflessivo prima della costruzione di ogni sua opera. Per strada Leonardo scrutava i volti degli uomini, in cerca di modelli adatti per le sue figure. Studiava e meditava le espressioni della meraviglia, dell’incredulità, dello sdegno, della rassegnazione, della confidenza, nel viso di tutte le persone che vedeva. Osservava e annotava… Meditava e correggeva…»
PHILIPPE DAVERIO, Critico e Storico dell’arte: intervista all’inaugurazione mostra “Immaginare Leonardo” a Castel Sonnino - 21 settembre 2019
La cifra pittorica di Giuseppe Frascaroli appartiene a quella sfera di ricerca creativa particolarmente accattivante che sposa il ritorno serio e raffinato della figurazione classica. Le opere dell’artista riescono ad esprimere l’emozione che parte dall’anima e si materializza sulla tela, attraverso rappresentazioni e ambientazioni curate in ogni minimo dettaglio e arricchite da elementi simbolici particolarmente raffinati nella ricerca e nello studio. Ed è proprio la costante applicazione intellettuale che riesce a far esplodere la pittura di Frascaroli in una nuova espressione che richiama gli insegnamenti di Joachim Winckelmann quando parlava di “nobile semplicità e serena grandezza”, laddove la semplicità, apparente, delle forme e della figurazione tipica dell’artista pavese, declina al meglio la naturalezza e la spontaneità dell’opera in cui regna sovrana l’armonia delle forme e delle tonalità. L’operazione di ricerca che è espressa nella preparazione dei dipinti risale anche agli studi approfonditi in ambito filosofico e storico. Il richiamo fortemente contemporaneo appartiene alle dotte ricerche che furono di espressione di movimenti come l’”anacronismo” sostenuti dal critico Maurizio Calvesi a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, in cui il “ritorno alla pittura” era considerato in controtendenza. Sono gli stessi anni in cui emerge anche la “Pittura Colta”, dove la chiave postmodernista contrapposta alla dilagante transavanguardia appartiene agli studi e alla filosofia espressiva di Giuseppe Frascaroli. L’artista, con queste premesse, riesce nell’intento di fondere alla propria straordinaria sensibilità creativa gli studi e le ricerche, ed esprimere così un linguaggio particolarmente significativo nel panorama pittorico contemporaneo.
ALBERTO MOIOLI, Critico d'arte e Scrittore, Direttore editoriale dell'Enciclopedia d'arte italiana - 11 marzo 2021
Caravaggio sarebbe rimasto basito nell’osservare certe composizioni di natura morta realizzate da Giuseppe Frascaroli. Basito perché avrebbe riconosciuto il suo ductus, ma avrebbe rinvenuto a sorpresa oggetti intrusi e a lui non noti: l’orologio da polso, gli occhiali da sole, la penna biro, per fare qualche esempio.
L’incontro, atemporale, fra due realtà. Questo il mondo iperrealistico e pure incantato del Frascaroli il quale sa donare agli occhi del riguardante l’emozione della meraviglia.
I colori sono caleidoscopio d’armonia e in sinestesia dichiarata galvanizzano l’osservatore. Ma Frascaroli, se pure incanta quest’ultimo, del pari lo provoca nella continua ricerca dell’esplosione neoclassica più pura senza inganno.
Brividi di visioni, su binari gettati in velocità esponenziale come premessa di scoperte inattese. È il ricordo dell’esperienza “vitae magistra” coniugato all’ardimento della novità. Non è scontro, quanto piuttosto incontro di eleganza, matrice antologizzata quale presupposto di perfezione.
E poi la magnetica vocazione alla spiritualità, nell’abbraccio fiducioso a Dio, che coinvolge e sconvolge l’input creativo di questo artista. La lettura della santità è sfida coraggiosa alla rivelazione, nella finitezza dell’individuo che ardisce nuove ipotesi di decifrazione dell’infinito.
L’abilità e l’entusiasmo della ricerca, per andare oltre, per sfidare il tempo nell’anelito all’Eterno.
CLAUDIA GHIRALDELLO, critico d’arte iscritta all'Albo degli Esperti d'Arte del Tribunale di Biella, membro attivo della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti - 2 gennaio 2022