I Bronzi di Riace: il più importante rinvenimento archeologico del XX secolo. L’enigma dei due guerrieri
Nel Museo Nazionale di Reggio Calabria sono conservati i Bronzi di Riace, due statue di bronzo che rappresentano, senza dubbio, uno dei momenti più alti della produzione scultorea di tutti i tempi.
Cercherò di fare una descrizione, seppur sintetica, ma per quanto possibile attendibile, delle due statue, cercando di individuarne l’identità e lo scultore (o i possibili scultori) che le hanno realizzate.
Circa duemila anni fa (non sappiamo esattamente quando: nel II secolo a.C., nell’86 a.C., o più tardi?), durante una tempesta che sconvolse le acque del Mar Ionio di fronte alla Calabria, l’equipaggio di una nave da carico cercò di salvare sé stesso e la nave dall’infuriare delle onde liberandosi del peso del proprio carico, gettandolo in mare.
Questo avvenimento, di per sé frequente sul mare in quei tempi, doveva acquistare un significato ed un’importanza particolari ai nostri occhi perché la nave stava trasportando dalla Grecia in Italia un carico del tutto speciale: le statue di bronzo di due guerrieri, belli come dei. Le statue, una volta gettate fuori bordo, si adagiarono sul fondale marino di 7 - 8 metri di profondità, a circa 300 metri dalla costa del piccolo comune di Riace Marina. Li rimasero, ignote a tutti, per molti secoli, fino al giorno in cui un chimico romano, Stefano Mariottini, appassionato subacqueo, le scorse e ne segnalò la presenza alla Soprintendenza Archeologica della Calabria.
Il recupero fu portato a termine dallo stesso Mariottini, affiancato dal Gruppo di Sommozzatori dei Carabinieri di Messina, il 21 e il 22 agosto 1972. Le statue furono liberate dalla sabbia che le copriva, portate in superficie per mezzo di due palloni gonfiati con l’ossigeno delle bombole e adagiate sulla spiaggia del paesino di Riace. Malgrado le incrostazioni silicee e calcaree che ricoprivano e alteravano la purezza di forme e di proporzioni delle statue, esse apparvero subito come due opere d’arte di notevole importanza e, in una prima valutazione, furono considerate originali greci del periodo ellenistico. Solo dopo la rimozione delle incrostazioni si cominciarono a delineare tasselli e strutture tecniche dei bronzi che collimavano tutte con quelle dei pochi bronzi originali greci a noi pervenuti della metà del V secolo a.C. (l’Auriga di Delfi, lo Zeus o Poseidon dell’Artemision, la testa di Chatsworth).
I Bronzi di Riace sono oggi, giustamente, tra le opere d’arte più conosciute e apprezzate al mondo. Al di là di tutti i misteri ancora irrisolti, rappresentano una testimonianza preziosissima dell’antichità: pochissimi sono gli originali greci in bronzo che sono giunti fino a noi e nessuno di questi raggiunge un così alto livello tecnico e stilistico. Sono due statue di bronzo di provenienza greca o magnogreca o siceliota, databili al V secolo a.C. pervenute in eccezionale stato di conservazione. Le statue presentano una notevole elasticità muscolare essendo raffigurati nella posizione definita a chiasmo (il chiasmo, o chiasma, è una formula compositiva usata in scultura, che consiste nella disposizione secondo un particolare ritmo, detto "chiastico", teso a risolvere il problema dell'equilibrio della figura eretta, di modo che questa è ritratta con un arto inferiore flesso e l'arto superiore del lato opposto teso, e viceversa). Il bronzo A alto 1,98 m. rappresenta un uomo giovane e forte, completamente nudo e in posizione stante. La distribuzione del peso e la posizione degli arti sono organizzati secondo il criterio del pondus (Per pondus o ponderazione si intende una posizione di equilibrio in cui il peso, sostenuto da una gamba portante, viene bilanciato attraverso lo spostamento delle altre parti del corpo). La muscolatura vigorosa, del torace, della schiena e dei fianchi è modellata in modo anatomicamente corretto. Sulle braccia e sulle mani le vene sono descritte in modo accurato. Tutto l’apparato muscolare è tonico, teso, immortalato un momento prima della contrazione.
Il bronzo A sembra più irrequieto e vitale, mentre il bronzo B, di un solo centimetro più basso del primo, appare più calmo e rilassato. Il plasmato della barba è estremamente curato, folta come nella prima statua, è caratterizzata da ciocche dall’andamento ondulato e meno riccio rispetto all’esempio precedente. Entrambi le statue comunicano una cospicua sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal corpo. Il braccio piegato sicuramente sorreggeva uno scudo, l'altra mano certamente impugnava un'arma. Il bronzo B ha la testa modellata in modo strano, appare piccola perché permetteva la collocazione di un elmo corinzio. Il braccio destro e l'avambraccio sinistro della statua B hanno subito un'altra fusione, presumibilmente per un intervento di restauro antico.
Lo studio dei materiali e della tecnica di fusione rivela comunque una certa differenza tra le due statue, che secondo alcuni potrebbero essere attribuite ad artisti differenti o addirittura realizzate in epoche distinte oppure da uno stesso artista in luoghi differenti.
La tecnica, la resa anatomica, la sicurezza nelle proporzioni e la raffinatezza del modellato non lasciano dubbi sulla datazione delle sculture al V secolo a. C. Più complessa e non ancora determinata l’individuazione esatta dell’anno.
In Grecia la metà del V secolo a.C. segna il passaggio della scultura del cosiddetto Stile Severo a quello Classico. È il periodo in cui l’arte scultorea oltrepassa la fermezza arcaica, e inizia lo studio scrupoloso dell’anatomia umana e delle proporzioni, è la fase in cui i volti e le espressioni, diventano più realistiche. Questo passaggio è il frutto dell’opera di geniali innovatori, i quali creano un nuovo linguaggio espressivo interpretando gli ideali e le aspirazioni del proprio tempo. I principali interpreti dello stile severo nella scultura sono stati Kritios, autore dell’Efebo dell’Acropoli e, con il compagno Nesiotes, del gruppo delle Tirannidi; Kalamis, (Calamide) che ha creato l’Afrodite Sosandra, dedicata verso il 465 sull’Acropoli di Atene; Sothadas, autore dell’Auriga di Delfi; e poi Hegias, Onatas, Glaukos, Mirone, che come abbiamo già visto nel blog del 28 aprile 2023, è stato autore del Discobolo, e poi l’anonimo scultore degli splendidi frontoni del tempio di Zeus ad Olimpia.
Protagonisti del processo di evoluzione, che intorno alla metà del secolo segna il passaggio dallo Stile Severo a quello Classico nel campo della statuaria, sono stati Policleto e Fidia. Il primo, nativo di Argo, ha conferito una soluzione “classica” ai problemi dello stile severo, formulando i canoni della figura atletica nuda. Policleto ha scolpito tutta una serie di statue di vincitori dei giochi olimpici, ma la soluzione più perfetta è stata il “Doriforo”. Intorno alla metà del secolo, Policleto fissa nel “Cànone” i principi di equilibrio e proporzione per realizzare la figura umana perfetta e, quindi, giungere alla “costruzione” del bello. Il suo Doriforo, modello per eccellenza della figura maschile nuda, muscolosa e atletica resta un punto di riferimento imprescindibile fino a Canova. La principale innovazione dello scultore di Argo nel Doriforo è il superamento di ogni residuo di rigidità con l’impostazione di un nuovo ritmo della figura gravitante su una sola gamba.
Proprio perché le statue di Reggio sono improntate agli stessi principi del Cànone di Policleto alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che possa esserne lui stesso l’autore, o qualche suo allievo di bottega. Alcuni ritengono che lo scultore dei bronzi abbia persino anticipato quanto poi il celebre argivo ha eternato.
A differenza delle opere certe di Policleto non esistono però copie romane in marmo dei bronzi, circostanza che rende estremamente difficile l’individuazione di un riferimento cronologico certo.
Queste considerazioni ci portano, come detto prima, a circoscrivere un periodo relativo alla metà del V secolo, molto prossimo a Policleto, se non addirittura coevo.
L'analisi della tecnica usata induce lo storico dell'arte greca e romana Paolo Moreno a pensare che l'autore del bronzo A, il giovane, (individuabile in Tideo, un eroe dell'Etolia, figlio del dio Ares e protetto dalla dea Atena.) sia Agelada, uno scultore di Argo che lavorava presso il santuario di Delfi verso la metà del V secolo a.C. Tideo assomiglia molto alle decorazioni presenti nel tempio di Zeus a Olimpia. Moreno conferma l'ipotesi dell'archeologo greco Geòrghios Dontàs riguardo al bronzo B, il vecchio, (individuabile in Anfiarao, il profeta guerriero che profetizzò la propria morte sotto le mura di Tebe.) affermando che a scolpirlo fu Alcamene, detto l’ateniese, forse per cittadinanza acquisita ma probabilmente originario di Lemnos, e ritenuto da Plinio allievo di Fidia.
Dagli studi effettuati sui segni lasciati dagli attributi mancanti sulle statue e dallo studio dei documenti storici, l'archeologo Daniele Castrizio ha elaborato invece una nuova ipotesi sull'identificazione delle statue e dell'artista. Egli ritiene infatti che si possa trattare dell'originale del gruppo statuario di Eteocle e Polinice, opera di Pitagora di Reggio, scultore greco antico attivo tra il 480 e il 450 a.C circa, nel Peloponneso e in Magna Grecia. Le fonti lo ricordano unicamente come bronzista. Questo scultore è stato celebrato nell'antichità poiché: «Fu il primo a riprodurre i tendini e le vene e il primo a trattare i capelli con maggiore diligenza degli altri, suddividendoli con precisione! […], capace di rendere come nessun altro i riccioli di barba e capelli, e per fare "respirare" le statue, cioè rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni» (Plinio il Vecchio, XXXIV 59)
Quindi, secondo il Castrizio:
- il Bronzo A (il giovane) potrebbe raffigurare Polinice, personaggio della mitologia greca, figlio di Edipo e di Giocasta e fratello di Eteocle, Antigone e Ismene.
- il Bronzo B (il vecchio) sarebbe invece Eteocle, primogenito di Edipo.
Entrambi i bronzi sarebbero stati realizzati da Pitagora di Reggio
A mio avviso però, non si può escludere a priori che, almeno il Bronzo B, ma anche entrambi i Bronzi di Riace possano essere stati realizzati da Kalamis (Calamide) scultore greco antico, nativo forse della Beozia e attivo fra il 480 e il 440 a.C. inizialmente ad Atene e in seguito nel Peloponneso, quindi pressoché coevo di Pitagora di Reggio: questo scultore, non solo è il creatore dell’Afrodite Sosandra, ma verosimilmente anche del “Poseidon di Capo Arrtemisio”, statua bronzea ritrovata in mare nel 1926, recuperata nel 1928 al largo di Capo Artemision nella Penisola greca di Eubea, nello spazio circostante di un relitto di una nave romana del 200 a.C. Il Poseidon di Calamide, come i Bronzi di Riace, presenta, una fattezza del corpo nudo molto accurata con la muscolatura del torace, della schiena e dei fianchi, modellata in modo anatomicamente corretto, una raffinatezza realizzativa nei riccioli dei capelli e della barba resa con ciocche mosse. Ma c'è di più: se si va ad esaminare un’altra opera attribuita a Kalamis: l'Apollo dell'Omphalos, identificato con l’Apollo Alexikakos ricordato da Pausania nell’agorà di Atene, originale bronzeo sopravvissuto in diverse copie marmoree di età romana, ebbene anche quest’ultimo, dalla possente muscolatura, presenta una postura che ricorda quella dei Bronzi di Riace, specie il Bronzo B. Sia la copia romana dell'Apollo dell'Omphalos conservato ai Musei Capitolini di Roma che la copia conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene, infatti, hanno il peso scaricato sulla gamba destra e sono rappresentati nella posizione a chiasmo; il capo, inoltre, è leggermente rivolto verso destra. Figure, quelle di Kalamis, ormai pienamente padrone dello spazio, come i Bronzi del Museo di Reggio Calabria.