“La Grande Odalisca” di Jean-Dominique-Ingres: come le proporzioni sbagliate in un’opera d’arte possono conferire un’eleganza rara e raffinata

Pittore di talento eccezionale, tra i maggiori allievi di Jacques-Louis David, Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867) fu l’artista che ne raccolse più fedelmente il messaggio. Tuttavia, al neoclassicismo più “ideologico” di David, inteso come impiego dello studio dei classici per dare vita a una moderna pittura di storia, educativa e tecnicamente ben costruita, Ingres antepose una inclinazione nostalgica della ripresa della classicità, che dichiara uno spirito moderno e inquieto: mi piace quindi definirlo un pittore neoclassico o, meglio, classicista, con spirito romantico.  Infatti, anche se lo studio dell'arte antica sono caratteristiche che trovano riscontro immediato nell'attività pittorica di Ingres, il pittore conciliò il gusto neoclassico pure con tematiche vicine alla sensibilità romantica, come avviene ad esempio nel “Sogno di Ossian”, destinato alla camera da letto di Napoleone al Quirinale, dipinto in cui l’artista si lascia conquistare dalle malinconiche e romantiche nebbie nel sogno del cantore girovago Ossian.

Tra le numerose opere del grande Maestro merita un commento “La Grande Odalisca” per alcune peculiarità. L’opera fu commissionata a Ingres da Carolina Murat nel 1813, sorella di Napoleone, perché facesse da pendant a un altro dipinto, raffigurante una donna nuda dormiente, realizzata dieci anni prima dallo stesso pittore, e andata dispersa alla caduta del Regno di Napoli. Alla Grande Odalisca sarebbe toccata la stessa sorte, se non fosse rimasta a lungo nello studio di Ingres: alla caduta dei Murat, infatti, non era ancora stata consegnata.

“La grande Odalisca”, terminata nel 1814 è un olio su tela cm 91X162 Parigi. Acquistata nel 1819 dal conte di Pourtalès-Gorgier, ciambellano del re di Prussia, esposta al Salon des Artistes Français del 1819, quindi in quelli del 1846 e del 1855, giunse al Musée du Louvre nel 1899. Grande attenzione è dedicata alla resa dei tessuti e ai contrasti cromatici (il rosa ambrato della carnagione, l'azzurro intenso del tendaggio ricamato in oro, le note raffinate e preziose dei gioielli, del ventaglio, del turbante), ma il disegno non tiene conto della verità anatomica. Evidenti risultano le forzature anatomiche e la mancanza di naturalismo nella figura, che risulta allungata e deformata.

Analizzando attentamente l’opera si notano infatti evidenti sproporzioni:

1. Il corpo sinuoso si distende in una torsione degli arti e del busto che allunga la figura in modo innaturale... sembra che Ingres abbia aggiunto almeno tre vertebre alla colonna della donna

2. Il collo, lungo, è avvitato in modo eccessivo

3. Le anche del corpo della donna sono sproporzionate, con dimensione dei fianchi che conferiscono una massa glutea troppo grossa rispetto al viso. Anche se il bacino della donna è meno massiccio ma più ampio di quello dell’uomo, ricordo che mediamente una “coniugata anatomica” del bacino, misura 11 cm, mentre la “coniugata ostetrica” misura cm 10,5; inoltre il diametro trasverso massimo che congiunge i punti fra loro più distanti delle due linee innominate misura cm 13,5.

4. Assenza totale della definizione delle articolazioni (notare il braccio destro che regge il ventaglio di piume: si allunga in maniera esagerata e, nel formare una curva che asseconda quella della schiena, sembra priva di gomito)

5. La gamba sinistra sembra staccata dal corpo.

Questa “forzatura anatomica” della figura, fu probabilmente coscientemente cercata dal Maestro, che, come allievo del grande pittore neoclassicista Jacques-Louis David, conosceva molto bene le proporzioni del corpo umano. Infatti Ingres ha ottenuto un’immagine nel suo complesso ricca di fascino e sensualità e un’eleganza di rara raffinatezza. L’esagerazione voluta della torsione e la stilizzazione dei contorni a dispetto della realtà anatomica furono aspramente criticate nel Salon del 1819, per la debolezza del disegno, le forzature anatomiche e per la monotonia cromatica. Landon biasimava però che nel dipingere questa figura senza ossa ne muscoli, ne sangue, Ingres avesse inteso consapevolmente “resuscitare la maniera pura e primitiva dei pittori dell'anticihità”. («Non ci sono in questa figura né ossa, né muscoli, né sangue, né vita, né rilievo, nulla infine di ciò che costituisce l’imitazione dal vero. La carnagione è grigia e monotona, non c’è neppure, a propriamente parlare, alcuna parte veramente saliente, tanto la luce è piatta, senza arte e senza cura.» - P. Landon, Salon de 1819, in Annales du Musée). Particolarmente interessante l'affermazione di Amaury-Duval del 1878, che riconobbe l'essenza “orientale” della figurazione non nel soggetto e negli attributi della donna, bensì nella resa pittorica, giocata su rese di colore quasi piatte, che anticiperebbero di quasi mezzo secolo la scoperta dell'arte giapponese da parte degli occidentali. L'elegante arabesco dei contorni ha suggerito il confronto con le slanciate stilizzazioni del Rinascimento italo-francese fiorito a Fontainebleau alla corte di Francesco I, nel modellato piatto, senza ombre e sfumature, sono riconoscibili analogie con il manierismo fiorentino del Bronzino e del Pontormo.

Quanto ho scritto finora, a ulteriore dimostrazione di come a volte il pittore rinunci alla formale freddezza di certa precisione accademica in favore di una armonia complessiva della composizione. Nel caso del dipinto in questione, la struttura essenziale dell'opera mette in risalto il corpo nudo che, distendendosi, segue l’andamento orizzontale della tela. “Il suo allungamento – come scrive Emanuele Castellani – viene interrotto soltanto dalla presenza di una tenda, semichiusa sullo sfondo, che ha la funzione di controbilanciare la composizione e di mantenere un perfetto equilibrio tra parte destra e sinistra del dipinto. La continuità con cui il disegno del braccio della donna prosegue nel profilo di questo drappo blu, determina la chiusura dello spazio in primo piano ed evoca un senso di accogliente intimità che risalta l’atmosfera erotica dell’opera”.

Il Dipinto si colloca all'interno del filone orientaleggiante, ampiamente diffuso in quegli anni, come testimoniato da opere come “Le Donne d'Algeri” di Delacroix del 1834, e che verrà ulteriormente sviluppato da Ingres in altri dipinti, come “Interno di Harem con Odalisca, Suonatrice e Guardiano”.

La “Grande Odalisca” segnò tra i primi avvicinamenti del pittore al romanticismo, dal quale riprese il gusto per l'esotico. Come asserito da Giuseppe Lucio Fragnoli “Quello di Ingres è un oriente di sogno, lontano e misterioso, il suo oriente ottomano, in cui è possibile appagare qualsiasi desiderio. È un oriente in cui vengono evocate atmosfere incantevoli e personaggi di grande carica erotica, in una propria e particolare concezione della bellezza ideale, fatta di morbida e plasmabile corporeità fusa ad una raffinata sensualità. Le proporzioni allungate della figura - che suscitarono severe critiche da parte di qualche critico del tempo - vanno quindi osservate in relazione a questa capacità inventiva, capace di trasporre sulla tela una realtà erotizzante e fiabesca, ma completamente immaginata e tremendamente mentale”. Aggiungo a Fragnoli che l’ambientazione esotica è occasione in Ingres per esercizi stilistici in cui la sinfonia di linee è forse ispirata ai rapporti ritmici della musica corale di cui l’artista era esperto

Numerose repliche del soggetto, come l’Odalisca in Grisaille del Metropolitan Museum di New York e anche della celeberrima testa (come quelle che si trovano al Musée des Beaux-Arts di Cambrai, al Museo di Grenoble) testimoniano la fortuna di questo dipinto.

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