La “Crocifissione di Cristo” per l’Eremo di Sant’Alberto di Butrio: diario della progettazione e della costruzione dell’opera
L’avventura della Crocifissione per l’Eremo di Sant’Alberto di Butrio inizia il 25 gennaio 2006.
Quel giorno, nel pomeriggio, verso le ore 16, mi sono recato all’Eremo in compagnia di due amici: il Sindaco di Ponte Nizza, Mario (detto Luciano) Domenichetti e il Dott. Antonino Giuffrè, medico di base nei territori di Ponte Nizza e Val di Nizza. Insieme all’Abbazia per fare conoscenza del nuovo Rettore, dal momento che il precedente, lo stimato Don Severino Tolfo, è stato destinato al Centro di Spiritualità “Don Orione” di Montebello della Battaglia.
Mi ha subito colpito la persona del nuovo Rettore, don Luigi Fiordaliso: Superiore e Parroco dai dolci lineamenti, una folta barba brizzolata, aspetto semplice e al tempo stesso arguto. Una persona intelligente, di grande cultura.
Dopo i convenevoli e dopo aver da parte mia ricordato la meravigliosa “avventura” di due anni fa, con la mia opera pittorica raffigurante il “Sant’Alberto abate benedicente”, collocata sopra l’urna di Sant’Alberto, una nuova, immensa emozione: la possibilità di dipingere una pala d’altare, una Crocifissione, che sia intonata all’austerità e alla sobrietà del posto, e che verrà sistemata, sostituendo l’attuale croce in legno, proprio sopra l’altare della chiesetta di Santa Maria, la più antica del fabbricato dell’Eremo, edificata proprio da Sant’Alberto con l’aiuto del Marchese Malaspina nell’anno 1050.
Si è convenuti ad una croce con le fattezze della “croce di San Damiano”, sorretta da due catene. Il Rettore ci ha confidato l’intenzione di spostare il Tabernacolo dalla nicchia ricavata nel muro a lato dell’altare, al centro dello stesso e quindi del presbiterio, seguendo così la volontà di Sua Santità Benedetto XVI, che vuole ristabilire la “Centralità” del Tabernacolo. La croce commissionatami, avendo le fattezze della croce di San Damiano, a nostro avviso è parsa più consona alla antica chiesa rispetto ad una tela, giacché non viene a coprire otticamente il bel catino dell’abside in pietra a vista con le due monofore strombate.
È inutile dire che ho passato la notte insonne, per l’entusiasmo e la grande emozione di una così importante commissione: un Cristo in Croce, tra quelle sacre e antiche mura del XI secolo, così cariche di storia non solo ecclesiastica (nell’Eremo soggiornarono anche Federico Barbarossa e Dante Alighieri), e sotto il quale pregheranno migliaia di fedeli ogni anno!
L’incredulità dell’evento è stata annullata il giorno dopo, quando, dopo cena, il Dott. Giuffrè mi ha comunicato telefonicamente le misure dell’attuale croce in legno presente sopra l’altare prese da Frate Ivan: cm 130 X 80 e a cui i frati dell’abbazia vorrebbero attenersi. Penserò però se tenere le stesse misure o aumentarle un poco, al fine di avere una figura di Cristo di circa 1 metro d’altezza. Sentirò il parere del Rettore dell’Eremo.
È il 27gennaio 2006 è sto pensando alla figura del Cristo. Lo dipingerò ancora con le fattezze dei miei precedenti? O sarà meglio dare un’impronta di icona medioevale, con ai lati figure dolenti e ai piedi figure di Santi? E poi: farò il Cristo vivo con il capo alto, “trionfante”, che vince la morte, come si faceva in un primo tempo, attorno al XII secolo, oppure è meglio dipingere, secondo il mio stile, un Cristo sofferente, con il capo grondante del sangue della corona di spine?
Scartata l’ipotesi dell’icona medioevale (è giusto che dipinga seguendo il mio “stile”), mi è parsa questa seconda ipotesi più plausibile e più consona al mio modo di intendere il Cristo in croce, essendo ritratto in una realtà più umana, sia che il volto sofferente sia rivolto verso l’alto, alla maniera di una crocifissione di Guido Reni del 1624, o di quella di El Greco del 1580 che si trova al Louvre di Parigi, o di quella di Francisco di Zurbaràn del 1627 circa che si trova al museo delle Belle Arti di Siviglia, sia che il volto sia chino verso il basso, come rappresentato dalla maggior parte degli Autori in diversi secoli e come io stesso ho rappresentato nelle mie precedenti crocifissioni collocate nel Santuario di Pieve di Montarsolo e nel Santuario di Torricella Verzate.
Mi vengono in mente insistentemente due quadri ben calibrati e di bella fattura cui possa ispirarmi per il mio compito: la Crocifissione di Guido Reni citata precedentemente e una Crocifissione di Nicolas Tournier del 1635.
Giorno 1° febbraio 2006: preparo, dal falegname di Ponte Nizza sig. Carlo Dedomenici, una sagoma in compensato della croce, di altezza 150 cm e di larghezza 120 cm. Questo dovrebbe permettere di avere la figura di Cristo di circa 1 metro, a mio avviso idonea allo scopo. Tornato a casa disegno il Cristo a matita e le misure corrispondono alle previsioni. D’istinto, disegnando il Cristo, il capo mi viene rivolto lievemente verso il basso. Porterò la sagoma in situ, all’eremo, per sentire il parere dei frati.
Il giorno 8 febbraio nell’abbazia posiziono con una scala la sagoma in compensato sopra l’altare nel punto in cui dovrebbe essere fissata; Giuffrè e don Luigi da metà della chiesa, confermano le misure. Tutt’al più si può “smagrire” il corpo centrale di un centimetro. Propongo uno sfondo con i colori predominanti negli affreschi dell’eremo: il giallo ocra e il rosso mattone. Il Direttore esprime la volontà che dipinga la figura di Cristo “ancora vivente”, senza la ferita sul costato e con il volto rivolto verso l’alto.
Dopo una breve preghiera con la quale don Luigi invoca il Signore che mi illumini nella stesura dell’opera, ci rechiamo in cucina per un buon caffè.
In questa occasione il Direttore esprime la volontà che d’ora in poi ci si dia “del tu”.
Giorno 15 febbraio 2006: vado a ritirare dal falegname di Ponte Nizza la croce in legno: una croce alta 154 cm e larga 120 cm, di spessore 28 mm, costruita ritagliando un pannello di legno di iroko, costituito da tavole incollate e assemblate a coda di rondine. Dietro le braccia della croce è stata posta, incastonata, una lamina in ferro dello spessore di 1 cm e larga 3 cm. Il tutto dovrebbe evitare vistose deformazioni del legno col tempo.
Il giorno dopo stendo sulla tavola di legno una imprimitura costituita da una miscela di olio di lino e trementina in rapporto circa 1 a 1, aggiunta alla pasta di bianco titanio-zinco. Il fondo bianco dovrebbe controbilanciare il processo di inscurimento che il tempo esercita sui colori. Questa preparazione inoltre dovrebbe evitare quello che è successo nell’opera di Giovanni Fattori “La libecciata”, in cui le venature del legno, appunto, hanno assorbito in maniera molto irregolare l’olio, alterando la superficie del dipinto.
Il giorno 11 marzo 2006 porto in visione a don Luigi una fotografia del Cristo che ho approntato i giorni scorsi. Sto verificando purtroppo come i tempi di asciugatura del dipinto su tavola siano troppo lunghi, al di fuori delle mie previsioni per cui, per la figura di Cristo e il resto ho usato, e userò d’ora in avanti per completare l’opera, la sola trementina nella diluizione dei colori ad olio. L’opera fin qui prodotta è piaciuta; don Luigi verrà più avanti a casa mia per vedere dal vero l’opera nella sua finitura, prima di essere messa in loco nella chiesa dell’abbazia, che prevedo per la prima domenica di aprile.
Ho dipinto il Cristo crocifisso ancora vivente, prima ancora della ferita al costato inflittagli dalla lancia di un soldato, e con il volto sofferente rivolto verso l’alto, contrariamente alle mie previsioni, mentre implora perdono al Dio Padre per l’umanità, per quegli uomini, che “non sanno quello che fanno”. Le membra e il corpo, dalle chiare tonalità, sono illuminati da una tenue luce proveniente leggermente dall’angolo superiore sinistro, com’è mia consuetudine. I piedi, come le mie precedenti crocifissioni, li ho incrociati e appoggiati su una mensola trattenuta da chiodi, come nel XVII secolo consigliava il grande Maestro spagnolo Francisco Pacheco nel suo trattato “Arte de la pintura”.
Tornato a casa dall’eremo definisco meglio con le ombre la figura di Cristo sulla croce. Avvolgo il capo di Nostro Signore con una luce chiara. Pongo i chiodi sulle mani e sul dorso dei piedi sotto i quali scivola un lieve rivolo di sangue. Qualche goccia di sangue anche sul viso e sulla parte alta del petto: non molto sangue, per non violare la sensazione di quiete. Sotto la croce dipingo una cartella dove, in modo volutamente non troppo visibile, pongo la seguente scritta: “JOSEPH FRASCAROLI - ANNO DOMINI MMVI - PINXIT”.
Domenica 12 marzo 2006: alle quattro del mattino mi alzo e, preso da un impulso irrefrenabile, vado in mansarda a contemplare l’opera: sta venendo in modo eccellente, è un capolavoro. Chissà cosa direbbe mio padre! Aspetto l’alba e la luce naturale del giorno con grande entusiasmo, per cercare di terminare il dipinto. In mattinata completo il cartiglio sopra la croce, eseguita come fosse una pergamena srotolata e sulla quale pongo la scritta in latino: JESUS NAZARENUS REX JUDÆORUM. Per ornare le due ali laterali alla croce mi ispiro alle decorazioni irregolari che fanno da sfondo agli affreschi dell’abbazia.
Nel pomeriggio l’opera è pressoché terminata. Manca solamente qualche ritocco al volto, alle mani e ai piedi del Signore, che farò più avanti quando sarà più asciutto.
22 marzo 2006: l’opera è terminata. Purtroppo, lievi deformazioni di assestamento del legno hanno provocato qualche piccola crepa, che ho riparato i giorni precedenti sovrapponendo un nuovo strato di colore ad olio.
Don Luigi con il Sindaco Domenichetti, il Dott. Giuffrè e il Senatore Panigazzi, vengono a casa mia nel pomeriggio per vedere l’opera. È piaciuta. Mi sono tolto un peso, anche se avevo già constatato come tutte le persone cui l’avevo mostrata i giorni scorsi, l’avevano apprezzata tantissimo.
Adesso spero che asciughi velocemente, perché verrà posta in loco il 1° aprile 2006.
29 marzo 2006: ancora l’opera non è totalmente asciutta. Sto pensando come fare a portarla all’Eremo. Userò un artifizio: due bastoni di legno invitati provvisoriamente nella parte posteriore della pala serviranno al trasporto, facendo da maniglie, evitando quindi la presa diretta sul legno non ancora asciutto. Intanto nel pomeriggio sono stato di nuovo all’Eremo e ho constatato come i ganci già presenti sul muro che dovranno reggere la croce, siano pressoché della stessa distanza dei ganci posti sulla croce, per cui non vanno modificati. Un caffè preparato da Fra’ Sereno e poi si torna a casa.
31 marzo 2006: nel pomeriggio, aiutato dal mio vicino di casa Azio, porto in cortile la croce. Sul bordo superiore delle traverse laterali, quindi invisibile ai visitatori, pongo la mia classica firma: sulla traversa laterale alla destra di Nostro Signore “Giuseppe Frascaroli -2006” e, sulla traversa laterale sinistra, “Bastida de’ Dossi (Pavia)”. Non mi resta che fare qualche foto all’opera con la mia digitale. In serata mettiamo la croce nel mio fuoristrada.
Devo dire che per certi versi mi viene un po’ il “magone” vedendo il mio studio pittorico spoglio del Cristo che mi ha fatto compagnia per tutto questo tempo. Questa emozione però, viene subito superata dalla immensa gioia di poter collocare la “mia” Crocifissione nell’Eremo di Sant’Alberto di Butrio.
1° aprile 2006. Partenza da casa alle ore 8,20, dopo aver messo in macchina i colori ad olio per il ritocco finale. Arrivato a Ponte Nizza sale in macchina l’amico Giuffrè e insieme arriviamo all’Eremo verso le 9,15. Al trasporto in Chiesa della croce ci viene in aiuto don Luigi. I lavori per la sistemazione della croce, svolti da noi tre, terminano dopo circa 1 ora. Quindi pausa caffè e successivo ritocco con i colori ad olio. In questa occasione, su consiglio di don Luigi, aggiungo sul bordo superiore destro il giorno e il mese della inaugurazione dell’opera. La scritta definitiva per i posteri diventa allora: “Giuseppe Frascaroli - 2 aprile 2006 – Bastida de’ Dossi – Pavia – “. Qualche visitatore occasionale osserva curioso queste operazioni.
Al termine noi tutti constatiamo come l’opera stia d’incanto nella sua nuova sede.
Ci raggiunge Fra Ivan che si meraviglia del dipinto.
Una ulteriore soddisfazione avviene dalle considerazioni di un fedele visitatore dell’Eremo: osservandomi ai ritocchi, era convinto fossi il restauratore di una preziosa pala d’altare di qualche illustre pittore di qualche secolo fa. Quando ha saputo che ero io l’autore dell’opera, si è molto complimentato. Che bella soddisfazione! La pala d’altare ha sortito il suo effetto, perché vuol dire che il risultato è stato quello voluto: una Crocifissione di bella fattura, alla maniera dei grandi Maestri del passato, secondo il mio ormai consolidato stile, che ben si integrasse tra le antiche e storiche mura dell’Abbazia.
2 aprile 2006. Il grande giorno. La Cerimonia Religiosa celebrata da don Luigi e da Fra Ivan. La benedizione della pala con l’immagine di Cristo. Tanta la gente all’evento: oltre alla mia famiglia, tra cui mia madre, molti amici e conoscenti, i componenti l’amministrazione di Ponte Nizza, il Dott. Antonino Giuffrè, il Sindaco di Val di Nizza Paolo Culacciati, il senatore Luigi Panigazzi e tanti fedeli, tra i quali, particolarmente graditi, due miei amici infermieri: Paola Scianni e Gianni Negruzzi con le rispettive famiglie. Tanta la soddisfazione e tanti i consensi favorevoli. Al termine della Santa Messa, e dopo aver spiegato su invito di Don Luigi le motivazioni e le caratteristiche della mia Opera, nella stessa chiesetta di Santa Maria ricevo dal Sindaco Luciano Domenichetti la Medaglia d’Oro dal Comune di Ponte Nizza per meriti artistici e una pergamena che l’accompagna, nella quale viene riportata la motivazione del Premio: “per aver mirabilmente dipinto, e donato all’Eremo di Sant’Alberto di Butrio, la “Crocifissione” olio su tavola e il “Sant’Alberto benedicente” olio su tela”. Un po’ di commozione traspare dai volti dei presenti, in particolare da me e dall’amico Domenichetti.
Consegno quindi, come è mia consuetudine, una lettera di accompagnamento a don Luigi, nella quale spiego gli aspetti “tecnici” del dipinto, le emozioni e la felicità che ho provato nella composizione dell’Opera e nella sua donazione all’Eremo.
Si va tutti quindi ad un rinfresco durante il quale lo stesso don Luigi a ricordo della giornata mi offre un ulteriore graditissimo regalo: una medaglia d’argento, coniata in Vaticano, con l’immagine del grande Papa Giovanni Paolo II.
Salutati i presenti, io, mia moglie e gli amici festeggiamo l’avvenimento con un buon pranzo al refettorio dell’eremo in compagnia dei frati.
Termina così con un brindisi la meravigliosa, straordinaria avventura.
Ma una nuova, più grande, avventura si profila! Un miracolo. Il miracolo dell’arte, delle “creazioni”, che fanno grande e rendono eterno l’uomo sulla terra: la mia Crocifissione rimarrà nel tempo. Rimarrà tra quelle mura imponenti e di austera bellezza, impregnate degli incensi di infinite cerimonie religiose, immerse in una natura che in maniera superba in ogni stagione sfodera i suoi infiniti incanti. Tra quelle mura dove per secoli hanno parlato e parlano il cielo, l’aria, ogni anfratto montano, l’acqua scrosciante a valle, il vento tra le fronde. Tra quelle sacre mura dove si respira un’aria intrisa di Superiori richiami e dove per secoli ha parlato e parla il silenzio; in questo silenzio dove così forte si sente la parola di Dio!
Il mio Cristo crocifisso verrà osservato e giudicato dalle generazioni future e allo stesso tempo darà conforto e preghiera a migliaia di fedeli negli anni a venire.
Giuseppe Frascaroli - Bastida de’ Dossi, Anno Domini 2006